giovedì 2 aprile 2015

Il mostro sono io

Sono nato nel 1960, da giovane ho praticato sport e ho sempre cercato di migliorarmi con metodi naturali; ho sempre nutrito una spontanea avversione ai farmaci che solo in rari casi ho utilizzato.
A 27 anni, grazie ad un amico, mi sono avvicinato alla filosofia steineriana che ho  approfondito negli anni attraverso studi e frequentazioni.
Fino a luglio 2007 la mia vita aveva scorso normalmente, anche se, in realtà, sono sempre stato un soggetto delicato con disturbi legati in particolare all’insonnia e alle funzioni intestinali. E le cure, fino a quel momento, erano state la disciplina, la dieta, l’omeopatia, la medicina antroposofica e vari altri metodi naturali.
Grossi miglioramenti non ci sono mai stati salvo aver maturato un certo grado di autoconoscenza e una buona capacità nella gestione delle energie psicofisiche.
Poi, in quel luglio, ho iniziato ad avere degli episodi febbrili accompagnati da dolori diffusi; poi la febbre sempre piu’ alta e dolori sempre più forti, al punto da obbligarmi a rivolgermi al pronto soccorso. Da lì il ricovero e, dopo qualche giorno di grande sofferenza a causa dei dolori insopportabili, la diagnosi di leucemia mieloide acuta.
Da subito, percepii quello che mi stava succedendo al di sopra delle mie possibilità di controllo e, senza alcuna esitazione, mi affidai alle cure dei medici del reparto di ematologia dell’ Umberto I° di Mestre e al calore dei miei familiari e dei miei amici.
Rimasi ricoverato per 106 giorni in quattro mesi, di cui oltre della metà in isolamento, con un ciclo chemioterapico di induzione e due di mantenimento.
Ci fu la remissione della malattia ma, purtroppo, anche il mio quasi totale annientamento fisico.
Le cure, poi, avrebbero dovuto proseguire col trapianto di midollo osseo (mio fratello era compatibile al 100% ed era disponibile alla donazione) preceduto da un altro ciclo chemioterapico di induzione e da uno di radioterapia su tutto il corpo. 
Le mie condizioni di salute precarie, però, non consentivano di procedere immediatamente al trapianto per cui fui dimesso in attesa di un recupero delle forze tale da consentire l’intervento.
Cosiderata la vetustà dell’ospedale di Mestre, che mancava di adeguati locali di isolamento e che si avviava proprio in quel periodo alla chiusura ed al trasferimento nel nuovo ospedale All’Angelo, scelsi, assieme ai miei familiari, di rivolgermi al centro trapianti di Verona diretto dal dott. Benedetti per il trapianto.
Il recupero fisico, e anche quello psicologico, ci furono ma, nel frattempo, cominciò ad emergere anche la consapevolezza di una nuova forza ed autonomia interiore che, però, non riuscivo a combinare con il percorso che la medicina mi indicava: da una parte c’erano i medici che, statistiche alla mano, mi invitavano a trapiantarmi al più presto per evitare una probabile ricaduta, dall’altra c’ero io che cominciavo a pensare di potercela fare con le mie forze e che non accettavo più l’idea di dovermi sottoporre ad un altro ciclo di chemioterapia di induzione e alla radioterapia.
Nonostante il forte scetticismo, per non dire avversione, dei medici in generale devo riconoscere il rispetto ricevuto dal dott. Benedetti per le mie scelte e la sua umiltà nel propormi le cure ospedaliere come il meglio dal punto di vista medico ma non come l’unica possibilità arrivando a citarmi un paziente da lui conosciuto molti anni prima e che sopravvisse con una scelta simile alla mia.
Tengo inoltre a ricordare una dott.ssa ematologa praticante dell’Umberto I°, di cui preferisco non svelare il nome, che privatamente mi confidò la sua fiducia per la mia scelta, dicendomi che, secondo lei, ce l’avrei fatta; il dott. Salmaso, medico steineriano, che veniva a trovarmi in ospedale; e il mio amico e medico Mauro Gallina che, pur senza spingermi in una direzione o nell’altra, mi ha sempre appoggiato moralmente con convinzione e determinazione.
Apparentemente piccole cose ma per me fondamentali in quel momento; erano giorni di dubbi e di lotta interiore, i miei famigliari erano confusi. Era arrivato il momento di dover contare solo nelle mie forze.
Non ero convinto e rimandavo il trapianto di settimana in settimana.
Nel frattempo, facevo le analisi del sangue ogni 15 giorni e ogni volta che avevo due linee di febbre, con la conseguente attesa dei risultati come di una sentenza davanti alla corte marziale.
Ma il tempo passava, mi sentivo sempre meglio, ed ero sempre più convinto che quella che avevo scelto era la strada giusta. E la convinzione crebbe al punto che nemmeno l’eventualità di una ricaduta avrebbe più potuto farmi cambiare idea sulla giustezza delle mie scelte: sentivo che la mia disavventura era, in realtà, un’avventura entusiasmante e una grande opportunità e anche la possibilità della morte, in quelle condizioni, non mi sembrava più così drammatica.
Cominciavo ad imparare a gestire la paura che in certi momenti mi paralizzava e che, ogni volta che la superavo, lasciava spazio a nuova energia. Cominciai a pensare che la malattia, la sofferenza, e la paura non esistevano per farmi del male ma per stimolarmi a reagire e a ritrovare la strada giusta; che  non andavano scacciate ma accettate, osservate, e seguite fino al loro esaurirsi; fino al punto dove sorge l’energia e la determinazione, dove il pensiero è pura luce.
Mi sono convinto che la malattia fisica è anche la conseguenza del mio malessere interiore o dei comportamenti sbagliati che ne derivano. e dalla malattia posso ripartire per correggermi e per cambiare il mio atteggiamento nei confronti della vita.
La malattia, le cellule malate, non sono qualcosa al di fuori di me, sono parte di me; così come lo è il mio sistema immunitario che le combatte. E il mio sistema immunitario si comporta nello stesso modo, nel fisico, di come mi comporto io nella vita: se nella vita combatto con passione, se mi impegno, se affronto i problemi con determinazione ed energia positiva tutto ciò si riflette nel comportamento del mio organismo.
E solo io posso fare questo. I medici, con il loro sapere, con la loro tecnica, con le loro medicine, possono fare molto e, a volte, essere anche determinanti quando. Ma possono fare poco da fuori se io non li aiuto da dentro; e non possono fare nulla se, una volta che hanno tolto la parte fisica del male, io continuo ad alimentarlo.
I medici hanno il compito di individuare ed eliminare la parte fisica del male, e io ho il compito di impedire che si rigeneri lì dove sorge: nel buio della mia anima. I medici con il loro impegno ed i loro strumenti, ed io con la mia determinazione ed il mio entusiasmo per la vita.
L’entusiasmo per la vita, la passione e la determinazione con cui perseguo i miei ideali, per quanto semplici possano sembrare, portano in se’ la luce che illumina l’anima e rigenera il corpo: la medicina che cura ogni male.

Michele Stefani

      
               

      
     

1 commento:

  1. Salve,
    lei dice di essere guarito anche grazie alla chemio.
    Non sarà invece grazie alla scelta di non continuare tale trattamento che può dire di essere guarito?

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